mercoledì 10 Aprile 2024
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Arnold Coffee: c’è il finanziere Bardolla dietro il clone di Starbucks che fattura 10 milioni

Qual è la storia di questo guru del successo? Affrontiamo nel dettaglio il suo percorso, che va anche in parallelo all'attività in borsa della catena italiana di Arnold Coffee

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MILANO – Le origini da self-made man di Alfio Bardolla, che ha raggiunto il successo partendo dal niente, in molti le conoscono. Una storia che il settimanale l’Espresso, ora allegato domenicale di Repubblica, ha racontato con grande dovizia di particolari.

Una famiglia nella media, con un padre ferroviere; l’infanzia a Chiavenna, in Valtellina. I tanti piccoli lavori accumulati da ragazzo e poi l’approdo a Milano.

L’università, tanto lavoro e infine l’illuminazione, quella definitiva, la svolta che gli ha cambiato la vita. Notevole poi, la sua collaborazione con la catena italiana sul modello americano, Arnold Coffee.

Alfio Bardolla, il più famoso tra i financial coach italiani

L’uomo che ha trasformato la sua storia in un brand di successo. Lo stesso che poi rivende la ricetta per diventare ricchi a migliaia di persone.

L’Alfio Bardolla Training Group è persino sbarcato in Borsa l’estate scorsa e in base alle quotazioni di questi giorni, vale oltre 15 milioni.

Gli affari, per lui, vanno alla grande. Il bilancio 2017, appena pubblicato, segnala ricavi dai corsi di formazione e dalle attività collaterali per quasi 10 milioni di euro contro i 6 milioni circa del 2016.

Alfio Bardolla, coach di Arnold coffee

Per i lettori di Comunicaffè e per tutti gli appassionati di caffè, è importante il contatto di questo personaggio con la catena Arnold Coffee.

Un’avventura partita nel 2009 quando la catena di caffetterie è stata lanciata proprio da Bardolla. Ha tratto la sua ispirazione addirittura dal successo mondiale dell’americana Starbucks.

Il financial coach ha inizialmente convinto a investire una settantina di piccoli e piccolissimi soci. Gli affari però non decollano.

I locali aperti in nove anni sono molti meno di quelli inizialmente previsti: soltanto sei. Di cui tre a Milano, due a Firenze e uno a Roma.

American Coffee, società titolare dell’iniziativa: poco contenti i suoi azionisti

Nel 2013 il bilancio si è infatti chiuso in perdita per 340 mila euro. Inoltre, dopo un piccolo utile nel 2014 (8 mila e 700 euro), nel 2015 è arrivato un altro risultato negativo.

Meno 67 mila euro su circa due milioni di ricavi. Il 2016 non è andato meglio: solo il 21 marzo 2018 si è scoperto, nel corso dell’assemblea dei soci, che la American Coffee ha chiuso il 2016 con una perdita di circa 21 mila euro. Su un attivo di 3 milioni e un patrimonio netto di 128 mila euro.

L’incontro con gli azionisti

Secondo quanto riporta il verbale assembleare, il financial coach spiega che il ritardo nel deposito dei conti è dovuto alla ristrutturazione aziendale. In particolare dell’area amministrativa.

Non ci sono dati sull’andamento dei conti nel 2017. Tuttavia Bardolla, intanto, si è già fatto da parte. A marzo ha lasciato la carica di amministratore unico di American Coffee. Sostituito nell’incarico da un suo collaboratore, Davide Mitscheunig.

Nel corso dell’assemblea

I soci hanno votato una manleva totale per l’amministratore uscente per ogni atto gestionale compiuto tra il 2014 e il 2017.

In più Bardolla, che rimane l’azionista di maggioranza con una quota del 60 per cento circa, resterà «indenne da qualsiasi richiesta di risarcimento che dovesse subire dai creditori e da eventuali sanzioni amministrative e civili.» Così si legge nel verbale dell’assemblea.

Il prestito obbligazionario

Nel frattempo, per finanziare l’attività, l’American Coffee ha esordito sui mercati finanziari con un prestito obbligazionario. Annunciato nel 2014, il bond è stato infine collocato a fine 2015 con l’obiettivo di raccogliere tre milioni di euro per finanziare l’apertura di nuove caffetterie.

Sulla carta l’offerta era allettante. Ovvero, il sette per cento di interesse annuo liquidato su base mensile. L’operazione ha però fruttato un milione di euro, come conferma Bardolla, contro i tre milioni previsti. Le obbligazioni non sono quotate in Italia, ma su un listino minore della Borsa di Vienna.

 

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