mercoledì 10 Aprile 2024
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Acqua di Napoli, gip archivia la querela di Luigi De Magistris contro l’Espresso

Il magistrato: "Il nucleo essenziale dei fatti narrati corrisponde al vero". Il dossier Usa, alla base dell'inchiesta giornalistica, acquisito agli atti dell'indagine aperta dalla Direzione Distrettuale Antimafia

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La leggenda, e la convinzione di molti, vuole che sia l’acqua di Napoli a dare una marcia in più al già dotato caffè espresso partenopeo. Molti esperti hanno fatto notare, sorridendo, che non può essere così. In realtà adesso si scopre che a Napoli di acqua si può morire.

Lo ha sancito un giudice sulla base di un’indagine realizzata dal governo Usa per tutelare i propri militari nell’area. Giudice che ha mandato assolto il settimanale l’Espresso che aveva pubblicato la notizia sotto il titolo “Bevi Napoli e poi muori” e per qusto era stato querelato dal sindaco di Napoli Luigi De Magistris.

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DI TELESIO MALASPINA*

È un’inchiesta che ha fatto discutere tutta Italia, ripresa dal “New York Times” e da molti giornali internazionali. Perché per la prima volta presentava sulla base una ricerca scientifica senza precedenti i gravi rischi ambientali presenti nel territorio campano.

E ora anche i giudici riconoscono la validità del lavoro svolto da “l’Espresso” e presentato con la copertina “Bevi Napoli e poi muori” . Il gip del Tribunale di Velletri ha infatti archiviato definitivamente la querela presentata da Luigi De Magistris, in prima persona e come sindaco di Napoli, contro il nostro settimanale. Nessuna diffamazione, nessuna “modalità tendenziosa e allarmistica”: secondo il magistrato Zsuzsa Mendola “per quanto concerne il principio di verità, deve osservarsi che il nucleo essenziale dei fatti narrati corrisponde al vero”.

Nell’accogliere la richiesta di archiviazione presentata anche dal pubblico ministero, il giudice scrive inoltre che sono stati rispettati i limiti del diritto di cronaca “costituiti dall’oggettivo interesse pubblico della notizia, dalla correttezza con cui essa viene esposta, in modo che siano evitate aggressioni all’altrui onorabilità e soprattutto della rigorosa corrispondenza tra i fatti accaduti e i fatti narrati”.

L’articolo pubblicato nel numero del 21 novembre 2013 dal direttore Bruno Manfellotto e firmato da Gianluca Di Feo e Claudio Pappaianni riportava i risultati del più importante studio ambientale mai realizzato in Europa: una ricerca condotta dall’Us Navy sui pericoli per le persone legati all’inquinamento nella provincia di Caserta e di Napoli . Il comando statunitense ha fatto realizzare oltre due anni di esami, costati 30 milioni di dollari, per capire quanto fosse pericoloso vivere in Campania per i militari americani e le loro famiglie: dal 2009 al 2011 è stata scandagliata un’area di oltre mille chilometri quadrati, analizzando aria, acqua, terreno di 543 case e dieci basi statunitensi alla ricerca di 214 sostanze nocive.

Le conclusioni del rapporto restano choccanti. Gli esperti americani hanno individuato luoghi con “rischi inaccettabili per la salute” disseminati ovunque nelle due province, persino nel centro di Napoli. Per questo scrivono che è impossibile indicare zone sicure dove risiedere: i pericoli sono stati riscontrati dappertutto. Sostenevano che in tutta la regione bisogna usare soltanto acqua minerale per bere, cucinare, fare il ghiaccio e anche lavarsi i denti. Nelle due province non si deve abitare al piano terra, dove penetrano i veleni che evaporano dal terreno, e vanno evitate cantine o garage sotterranei.

Ci sono tre “zone rosse” intorno a Casal di Principe, Villa Literno, Marcianise, Casoria e Arzano dove in pratica vietano di prendere casa: i rubinetti pescano da pozzi contaminati da composti cancerogeni e dal suolo escono gas micidiali. Nei grandi complessi statunitensi di Capodichino e di Gricignano d’Aversa le minacce per la salute sono considerate “accettabili” solo “perché il personale vi resta in media per 2,2 anni e comunque per meno di sei anni”: una scadenza che non va superata.

La diagnosi più angosciante riguarda l’acqua e certifica quanto sia profondo il male nelle falde. Il 92 per cento dei pozzi privati che riforniscono le case costituiscono “un rischio inaccettabile per la salute”. Ma il rapporto evidenziava minacce anche negli acquedotti cittadini, scrivendo che “acqua pericolosa” era stata riscontrata nel 57 per cento dei rubinetti esaminati nel centro di Napoli e nel 16 per cento a Bagnoli.

Questo nonostante i test sulle 14 sorgenti che alimentano le città ne avessero certificato la qualità. Il dossier sottolineava che le tubature spesso sono vecchie, con manutenzione e controlli carenti. E che in alcuni casi l’acqua dei pozzi clandestini riesce a entrare nelle condotte urbane, soprattutto in provincia: c’è “un’alta incidenza di pozzi privati senza autorizzazione connessi ad acquedotti”, con “una scarsa prevenzione per evitare il riflusso”. Così, in particolare con la bassa pressione dei mesi estivi, i veleni delle discariche possono finire in tutti i rubinetti.

Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris ha contestato pubblicamente questi dati, assieme alla società Acqua Bene Comune che gestisce la rete idrica muncipale, ribadendo come tutti i controlli svolti nella città avessero sempre escluso rischi per la salute. De Magistris ha poi presentato una querela per diffamazione , a titolo personale e come primo cittadino, allegando i risultati dei test condotti dall’Arpac con il “controllo esterno” dell’Asl che certificavano come “le acque distribuite nella città di Napoli sono conformi ai requisiti di legge”.

Nella causa invece l’avvocato de “l’Espresso” Paolo Mazzà ha prodotto la t raduzione integrale del rapporto statunitense, disponibile adesso anche sul nostro sito . Un dossier entrato a far parte anche degli atti dell’indagine aperta dai pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che – dopo la nostra inchiesta – hanno acquisito tutti i documenti sui test svolti sulla rete idrica campana: il sospetto è che alcuni dei lavori di manutenzione sugli impianti siano stati svolti da aziende legate alla camorra.

Acqua contaminata, con tracce pericolose di uranio. Gas velenosi che escono dal suolo. Il rapporto completo dei militari Usa sui rischi dei rifiuti tossici in Campania. Che concludono: “Nessuna zona è sicura, nemmeno nel centro di Napoli”. La versione integrale della nostra inchiesta

Ancora oggi, l’Us Navy mantiene in vigore il Bottle Water Advisory per il personale di stanza in Campania, raccomandando anche sul suo sito web e sulla rivista del comando l’utilizzo di acqua minerale per tutti gli usi alimentari. L’avvertenza vale per tutti i militari e le loro famiglie, tranne per quelli che risiedono nelle strutture del Support Site di Gricignano d’Aversa e dell’aeroporto di Capodichino dove gli americani hanno introdotto ulteriori apparati di depurazione sulle condotte della rete idrica.

Nonostante l’eco ottenuta dall’inchiesta de “l’Espresso”, in questi anni nessuna autorità italiana ha pensato di svolgere una ricerca ambientale simile a quella statunitense, ignorando i dati sulla minaccia a cui continuano a essere esposti i cittadini che vivono in quei territori.

Una minaccia che torna a materializzarsi nell’ultimo documento dell’Istituto Superiore di Sanità che certifica l’aumento di tumori nella Terra dei Fuochi, senza però fornire risposte sulle cause di questo dramma che colpisce una parte rilevante della popolazione campana.

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